La madre che accompagna la madre
Una donna che si prende cura di un’altra donna in uno dei momenti più belli e delicati della sua vita, la maternità.
La doula era già nota ai tempi degli antichi greci. Era una donna che si metteva al servizio di un’altra donna, il suo significato è “colei che serve la madre”. Si pronuncia “dula”. È una figura professionale, non sanitaria, che accompagna la futura mamma, ma anche il papà, durante la gravidanza e i primi mesi di vita del neonato. Segue principalmente la mamma, ma è al servizio di tutta la famiglia, dal lato emozionale offrendo supporto nella gestione delle paure, ansie, dubbi che vengono trasformati in scelte consapevoli attraverso ascolto, informazioni e conoscenze. Permette alla madre di ascoltare quella voce che è dentro di sé che conosce già le risposte, quell’intuito femminile che fa parte di ogni donna.
Attenzione! non sto parlando di “innato istinto materno”, quello, a volte, va ricercato o arriva man mano che si prende maggior confidenza con la propria creatura, ma di una voce che è stata assopita e che torna a farsi sentire, a volte, contro ogni logica razionale.
La Doula aiuta la coppia ad avere maggior chiarezza sulle scelte del parto e, se richiesto, accompagna la madre alle visite ginecologiche. Ha un comportamento sempre rispettoso e discreto, mai giudicante.
Durante le fasi del travaglio e parto potrebbe essere presente su richiesta della mamma. In quel caso opera nell’accogliere le emozioni. Il suo compito è quello di rendere l’esperienza più bella ed unica possibile nel pieno rispetto delle scelte dei genitori sia che si tratti di un parto naturale, medicalizzato, in ospedale o a casa. Non interferisce con le decisioni degli operatori sanitari, ma può fare da legame tra questi e i genitori.
È la custode della nascita.
La doula svolge anche mansioni pratiche, aiuta nelle piccole faccende domestiche come caricare una lavatrice, occuparsi del neonato mentre la mamma si fa una doccia, preparare una buona cena ecc. Una volta nella società, le famiglie vivevano in comunione. C’erano le figure delle sorelle, madri, nonne, zie che si prendevano cura della puerpera e del nascituro. C’era sempre una persona di riferimento con la quale confidarsi su argomenti da donne o che, in maniera molto pratica dava una mano, un aiuto concreto. Ora tutto ciò non esiste più, almeno non nelle nostre culture occidentali e la mamma si trova ad essere sola. Sola con mille dubbi e mille faccende da sbrigare e, non di meno, con la stanchezza e le ore di sonno arretrate.
Ecco!!! la doula, potrebbe essere quella zia, cugina, mamma, nonna che era presente quando i nuclei familiari erano più uniti e sostenersi l’una con l’altra era naturale, quando si poteva ridere ancora delle proprie debolezze e ci si riuniva per raccontarsi quei piccoli, preziosi segreti che si tramandavano da donna a donna. Oggi questa figura è munita di quella sensibilità, amorevolezza che le appartiene da sempre e che la ben contraddistingue ed in più possiede un bagaglio di conoscenze e sapere che le permettono di essere ancora più preziosa accanto al divenire di una madre.
Essere Doula significa Esserci. Essere una figura presente, ma quasi invisibile nel pieno rispetto della creatura che sta arrivando su questa terra.
un po’ di storia…
Partiamo dai tempi più vicini.
GLI ANNI ’50. La Mammana
Fino agli anni ’50, soprattutto in un contesto contadino, partorire in casa era un evento normale. I bambini venivano al mondo in presenza di una mammana, della madre della donna in travaglio e di altre donne sposate che avevano già avuto l’esperienza della nascita di un figlio e che sapevano il da farsi. Il parto apparteneva ad un mondo esclusivamente femminile. Uomini e bambini venivano allontanati. Eventualmente era affidato al padre il compito di andare a chiamare la mammana. Le donne si affaccendavano intorno alla partoriente scaldando l’acqua in enormi pentoloni e utilizzando pezzuole di stoffa in cotone. Si creava complicità, solidarietà e intimità. La mammana era quella donna esperta in tecniche di parto. Oggi chiameremmo ostetrica o levatrice. Oltre ad occuparsi della nascita, dava indicazioni alle madri sul riposo e l’alimentazione. Utilizzava rimedi naturali, come la camomilla con delle foglie d’alloro per le contrazioni durante il travaglio e inalazioni con acqua calda di malva . Nei primi giorni si occupava anche delle cure del piccolo medicando il cordone ombelicale, facendogli il bagnetto e fasciandolo. La fasciatura era ancora ben praticata perché considerata rimedio per le deformità fisiche.
La puerpera era coccolata, seguita e assecondata anche nei desideri più strani. Si dava attenzione alla sua sensibilità accentuata in questo tempo dopo la nascita della creatura. Chi le era vicino si prodigava per proteggere l’ambiente domestico che era intimo, raccolto, sacro. Era consuetudine, nei primi 3 giorni dopo il parto e fino alla montata lattea, offrirle del brodo di pollo. Tutto ciò per un buon avviamento dell’allattamento ed evitare le febbri che erano frequenti. Probabilmente era uno dei tempi dove veniva maggiormente accudita e poteva sentire il potere dell’essere donna. I famosi 40 giorni dopo il parto le erano utili per permettere un assestamento fisiologico, di cui il corpo e la mente avevano bisogno per riprendere le forze, ma sono nati pure perché in quei tempi la donna aveva modo di proteggersi dall’attenzioni sessuali del marito.
Era consuetudine tramandare da madre a figlia le conoscenze del mestiere. Un mestiere si imparava con l’osservazione. Guarda e impara. Spesso erano donne anziane, ricordiamoci che veniva considerata anziana già una donna intorno ai 40/50 anni. Era una figura molto rispettata e si nutriva per lei una massima riconoscenza. Veniva vista anche come una figura “magica”, quasi con antichi poteri. Spesso prestava gratis il suo “lavoro” e il pagamento avveniva con generi alimentari, le famiglie che, ricordo, erano soprattutto contadine, ripagavano con qualche bene di consumo di propria produzione, come il vino, l’olio, formaggi, uova. Si guadagnava in questo modo stima, affetto e ammirazione. La sentivano parte della famiglia.
Allora la mortalità infantile e materna non era episodio occasionale, le cause potevano essere differenti, la mamma non sempre arrivava al parto in buone condizioni fisiche a causa di un’alimentazione povera o di lavoro estenuante. Quando si presentavano delle difficoltà e la famiglia poteva permetterselo, veniva chiamato il medico generico che concordava con i familiari intimi, a volte prima dell’inizio del travaglio, chi avrebbe salvato, la madre o il nascituro. La mammana aveva il riconoscimento di battezzare un neonato vicino alla morire, con tutti i rituali riconosciuti dalla chiesa. Era, ad ogni modo, suo compito presentarlo alla chiesa per il battesimo regolare. Allora il battesimo doveva avvenire al più presto, possibilmente la domenica successiva alla nascita.
Questa preziosa figura che era così vicina ai momenti importanti della vita di un’altra donna, svolgeva anche un compito scomodo e difficile, quello di aiutare le donne che volevano o si trovavano costrette ad abortire. Agivano nella completa illegalità e con “mezzi di fortuna” mettendo a rischio la vita delle donne stesse. Non sono così lontani i tempi che veniva considerato un reato interrompere una gravidanza e proprio perché illegali erano affidati alla clandestinità.
Con la fine degli anni ’50 inizia il tempo del parto assistito all’ospedale e la figura della mammana viene sostituita dall’ostetrica e dal ginecologo.
MEDIO EVO. Godsib
Da quando esistono i primi nuclei degli uomini per il vivere in comune, attorno alla donna che partorisce e che diventa madre si è sviluppato un cerchio di donne per accompagnarla e sostenerla.
Sheila Kitzinger, antropologa di rinomata fama mondiale nel campo della maternità e conosciuta per i suoi libri sul tema del parto, allattamento e sessualità, come pure Robbie E. Davis- Floyd et Carolyn Fishel Sargent nella loro raccolta di saggi antropologici, Childbirth and Authoritative, raccontano delle testimonianze sulle “God siblings o Godsibs” (sorelle che presentano il nascituro davanti a Dio per battezzarlo). Il compito di queste donne era di assistere e accompagnare le donne in gravidanza, durante il travaglio e post-parto. Erano anche da assistenti alle ostetriche. Questo già in Inghilterra dal XVI secolo. Si formava un cerchio di donne che accompagnava la partoriente, l’ostetrica ne era parte.
Era rispettata, e questo rispetto, autorevolezza e responsabilità aumentavano ogni qualvolta avveniva una nascita, per le sue conoscenze come specialista nel campo del parto. Conoscenze che le erano state tramandate da altre levatrici tramite un apprendistato. Il suo ruolo era quello di assistere al parto e organizzare le attività della Godsib durante il parto. Quest’ultima, generalmente, aveva un contatto diretto con la madre, faceva parte della famiglia o era una vicina, un’amica.
Al momento dell’inizio del travaglio la Godsib si recava dalla partoriente e preparava tutto il necessario, stanza calda, panni, … Restava vicino alla donna durante tutto il travaglio, la confortava, le dava coraggio, preparava del cibo e delle tisane. Era attenta ai bisogni emotivi della partoriente. La coccolava, l’accarezzava, le offriva dei massaggi per sollevarla dai dolori, pregava e cantava con lei. È tutto ciò che, ancor oggi svolge la doula.
La donna che aveva appena partorito veniva considerata impura e vulnerabile e non poteva svolgere le faccende domestiche per i classici 40 giorni, giorni in cui si riprendeva dallo sforzo del parto. Erano le Godsibs ad occuparsi della casa. La loro retribuzione avveniva in natura, mentre le ostetriche erano pagate in denaro. Nonostante il loro status di specialista, quest’ultime, facevano parte della squadra come le altre donne. Erano tutte, ostetriche, Godsibs e le donne che erano già madri custodi della sapienza della nascita e trasmettevano le loro conoscenze di come prendersi cura di una donna durante il parto attraverso le proprie esperienze.
ANTICA GRECIA. La Doula
La professione di levatrice è considerata una delle più antiche al mondo. Nei suoi scritti Platone, parlando di Socrate, fa spesso riferimento alla madre levatrice. Era chiamata in questo modo, perché era in grado di «levare» il neonato dal corpo della donna incinta.
Nei tempi dei greci esisteva la figura della doula come facente parte della famiglia stessa. Il concetto famiglia era ben diverso da ciò che intendiamo oggi noi. Si occupava di offrire assistenza personale e familiare e dava supporto emotivo, soprattutto alla sua padrona durante il parto. Aveva grandi conoscenze e custodiva la sacralità della nascita.
Una leggenda della mitologia greca racconta di GALATI, la prima doula. Alcmena aveva una doula accanto a sé mentre partoriva Ercole. Si chiamava Galati. Galati era un’ancella molto affezionata alla sua padrona e, durante il travaglio, si affaccendava correndo da una stanza all’altra con panni caldi e acqua bollente portando amorevolmente supporto alla sua regina. Erano giorni che Alcmena era entrata in travaglio e qualcosa non andava come avrebbe dovuto. Galati era preoccupata. In effetti, Era, la legittima sposa di Zeus, padre di tutti gli dei, era furiosa con Alcmena che aveva concepito un figlio tramite l’inganno di Zeus che, per entrare nelle sue grazie, si era trasformato nelle spoglie del marito Anfitrione. Era si stava vendicando. Galati cercava di trovare il motivo di quel blocco, finché… guardando in alto della stanza dove si trovava a partorire Alcmena, vide Lucina, la dea del parto appollaiata, a gambe incrociate sull’architrave della porta della stanza, per ordine di Era. Con il suo incrociare le gambe impediva il parto di Alcmena. A quel punto Galati escogitò uno stratagemma per distrarre Lucina dal suo compito. Entrò nella stanza e guardando Alcmena si finse meravigliata della nascita del bambino. Disse: Signora! Finalmente ha partorito! Che bellezza! Lucina sorprendendosi, per lo stupore, si sporse in avanti, aprì le gambe e in quel momento Alcmena, liberata dal blocco, partorì. Ed è così che nacque Ercole, il più forte degli eroi, il primo mortale che riuscì a diventare dio.
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